Mentre il tramonto africano incendia il mare, la brezza porta con sé il profumo delle spezie. Non fate caso a chi snobba il sundowner, l’aperitivo serale sulla veranda dell’Africa House, la vecchia, cigolante architettura coloniale della capitale Stone Town. La prima boccata d’aria, le prime sensazioni di quest’isola al profumo di spezie che galleggia al largo della Tanzania, si catturano proprio qui, nell’ex-club britannico. Sulle poltrone mollemente adagiate in una cornice di orti, palme, mercati, minareti, davanti a un mare che si allunga all’orizzonte dipingendosi di rosso e di viola.
Ma è solo un’anticipazione, perché Zanzibar è molto più di una terrazza dove sorseggiare cocktail respirando le suggestioni della storia. Addentrandosi fra le vie della città costruita con la polvere del corallo – dove da secoli convivono omaniti, arabi, indiani, persiani e africani swahili – sembra di immergersi in un unico, immenso, pittoresco bazar. Si comprano i tessuti che le donne bantu indossano come gonna, scialle o turbante (ottimi da utilizzare come telo da spiaggia), le bambole di legno, i pettini, gli argenti provenienti dall’India, i profumi.
Camminando nei vicoli si ammirano le case dei nobili piene di verande e bow-window, dove si aprono porte in legno intagliato simili a sculture. Poi, sul lungomare, arrivano i palazzi dei sultani. Beit-el Ajaib, la Casa delle Meraviglie, è la favolosa reggia costruita per ospitare le feste dei sovrani omaniti, che dividevano la capitale del loro impero tra Muscat e Stone Town (è anche il primo edificio dell’isola dotato di corrente elettrica e ascensore). Accanto, la fortezza ospita un centro culturale, mentre un isolato più a nord, Beit-el Sahel è un museo imperdibile: ci sono gli appartamenti privati dell’ultimo grande sultano, Khalifa Bin Haroub, e delle sue due mogli.
Lasciata Stone Town, l’isola si svela poco a poco, come le pagine di un libro. A nord c’è Nungwi, il villaggio di pescatori dove costruiscono i dhow: le tipiche imbarcazioni in legno con le vele latine, che navigano benissimo anche in mare aperto (potete farci un’escursione). Sono suggestivi pure i tour delle spezie fra le piantagioni di chiodi di garofano, vaniglia, cannella, pepe, cardamomo… Per le spiagge più belle bisogna andare sulla costa orientale, protetta dalla barriera corallina, e fermarsi sulla striscia di sabbia bianca di Kiwengwa (lunga quattro chilometri e larga duecento metri) o in quella, altrettanto suggestiva, in prossimità del Dongwe Club. E se nella laguna di Kizimkazi può capitare di nuotare con i delfini, nella foresta di Jozani, dichiarata riserva naturale, si guardano in faccia il dik-dik, la timida antilope pigmea, e soprattutto il colobo: la scimmia endemica dal manto rosso.
Gli animali con la “A” maiuscola però sono quelli della Tanzania, da scoprire con i safari, prima o dopo la vacanza sull’isola delle spezie. In questa nazione grande tre volte l’Italia, dove si contano 14 parchi nazionali e 3 parchi marini, va in scena una delle più grandi migrazioni del pianeta, quella degli animali alla ricerca di pascoli e pozze d’acqua. Questo evento circolare che dura tutto l’anno per via dell’avvicendarsi delle stagioni secche e umide, coinvolgendo oltre due milioni di mammiferi, si ammira soprattutto al Serengeti, primo parco nazionale della Tanzania, e nel Ngorongoro. Entrambi dichiarati dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’umanità, oltre agli gnu, le zebre, le gazzelle, i bufali, questi due paradisi naturali dalla bellezza straordinaria sono anche la casa dei leoni, dei leopardi, dei ghepardi.
E se nel Serengeti si danno appuntamento gli appassionati di birdwatching, nel Ngorongoro, che in lingua Masai significa “grande buco”, sembra di stare in un eden primordiale dall’atmosfera poetica. Il cratere vulcanico di 16 chilometri di diametro che dà il nome alla riserva naturale, è uno dei paesaggi più emozionanti che si possano incontrare sulla faccia della terra. Non a caso, è la caldera intatta più grande del mondo.