Racconti di viaggio

MAURITIUS

Va bene, lo ammetto, il termine paradiso tropicale è inflazionato: però non si può fare a meno di pensare che Mauritius (la repubblica nell’Oceano Indiano che insieme all’isola di Rodrigues forma l’arcipelago delle Mascarene) è quanto di più vicino ci sia all’idea di Eden in terra. Grazie alla barriera corallina il mare ha un effetto piscina, le spiagge sembrano fatte di borotalco, la capitale Port Louis, raccolta attorno agli edifici coloniali e al mercato centrale dove le donne fanno la spesa fasciate dai sari, ti trasporta in un’atmosfera da “India elegante e remota”. E come se non bastasse, è stata inserita dalla Lonely Planet nella top 10 delle destinazioni da vedere nel 2018.

In questo paradiso tropicale (eh sì, non posso fare a meno di ripeterlo) che galleggia nel bel mezzo del nulla a est del Madagascar, l’aria profuma di spezie e di vaniglia, l’inglese e il francese si mescolano con i suoni caramellati della lingua creola, gli abitanti di diverse etnie e religioni che convivono da sempre armoniosamente sotto lo stesso cielo, regalano un senso di pace che di questi tempi non fa certo male. Poi c’è la natura: un miracolo del creato, un’esplosione di profumi, forme, colori, come raramente capita di incontrare su un’unica isola (e neppure tanto grande).

Lasciando Port Louis per l’entroterra, Chamarel è il cancello per la terra dei “sette colori”: le sabbie colorate di origine vulcanica che si sono mescolate fra loro, trasformando questo spicchio d’isola in un patchwork cromatico che vira dall’oro al verde, dal rosso al viola. Dopo queste dune delle meraviglie si scopre una cascata che precipita per quasi 100 metri con un unico salto. Poi arrivano le piantagioni del tè, distese infinite di foglioline che vengono raccolte a mano e portate nella fabbrica Bois Cheri per dare vita al celebre infuso (la storia è raccontata nel museo della tenuta). La mia tappa successiva, sembra nata dall’estro di qualche divinità che si è divertita a giocare con il clima mite e la terra fertile. Invece il giardino botanico di Pamplemousses, bellissimo, pieno di palme, tartarughe giganti, ninfee, non ha nulla di mistico: fu creato oltre 300 anni fa dal botanico francese Pierre Poivre, e ha la fama di essere il più antico dell’emisfero australe.

A questo punto mi domando se vedrò mai il mare: sono troppo rapito dalla natura tropicale che mescola il disegno delle piantagioni e i giardini di piante rare, a “capricci” dalla crescita spontanea come La Vallée de Ferney e il Domaine de l’Etoile, due riserve create per tutelare la biodiversità della flora e della fauna. È bellissimo anche il Parco nazionale Black River Gorges, che su una superficie di 6750 ettari tutela piante e animali autoctoni a rischio di estinzione. Anche se tradotto in italiano suona un po’ lugubre, “Gole del fiume nero”, questo parco è un incanto di colline pennellate di verde che corrono poeticamente lungo il corso d’acqua. Un luogo speciale per chi ama camminare nella natura, da non perdere!

Il mare alla fine arriva. Ed è un capolavoro di sfumature trasparenti, ipnotiche e magiche, che dipingono l’orizzonte fin dove è possibile seguirle con lo sguardo. Nella zona di sud-ovest la parte del leone la fa la Penisola di Le Morne, famosa per gli sport d’acqua e per Le Morne Brabant, lo sperone roccioso alto 556 metri che dà il nome al sito. Ma questa penisola protetta dall’Unesco è solo la prima delle molte visioni paradisiache che disegnano il profilo della costa, là dove la terra lascia il posto alla superficie tiepida dell’oceano. Le spiagge da cartolina sono moltissime, da Flic en Flac a Belle Mare, da Blue Bay all’Île aux Cerfs, che un tempo era popolata dai cervi e che oggi vanta campi da golf e allevamenti di tartarughe. Lì, in quell’incanto di granelli impalpabili e piscine naturali a pochi minuti di barca dalla costa, penso che Mark Twain aveva proprio ragione quando, dopo aver visitato l’isola di Mauritius alla fine dell’Ottocento, affermò con convinzione assoluta: «Dio creò Mauritius e poi il paradiso terrestre».