Racconti di viaggio

LE PERLE DELL’OCEANO INDIANO / INDIA + MALDIVE

Ventisei atolli a cavallo dell’Equatore che abbracciano 1196 minuscole isole color borotalco. Le Maldive sono così: un Paese sottosopra, fatto per il 99 per cento di acqua, dove l’altezza massima della superficie emersa non supera i 3 metri (palme escluse), l’oceano ha la trasparenza del vetro, la “terra” è un patchwork di scogli con la sabbia spruzzata di verde. Il luogo perfetto per staccare la spina e vivere un’esperienza barefoot all’interno di resort dove tutto è semplicemente perfetto. In quello di Velavaru (nell’atollo di Dhaalu, fra gli ultimi ad aver aperto le porte al turismo) arrivi in 45 minuti di idrovolante dalla capitale Malé, e già il viaggio è un’esperienza dei sensi. Occhi incollati all’oblò per ammirare il disegno del reef che emerge dal blu degli abissi, finché appare quest’isola che brilla come una madreperla tempestata di smeraldi sulla superficie liquida dell’oceano. Giusto il tempo di lasciare le valigie nelle splendide water villa (dormire a pochi centimetri dal mare è una sensazione paradisiaca), poi perdi il senso del tempo nuotando nell’acqua tiepida, bevendo cocktail di frutta tropicale, pranzando in pareo davanti allo spettacolo in technicolor che prende vita già a pochi metri dalla riva: nuvole viola di pesci balestra, luccichii di pesci argentati, blu, azzurri, rossi, gialli, e naturalmente le tartarughe, dalle quali l’isola prende il nome.

La mia pausa-relax maldiviana non è il risultato di un’unica vacanza, ho scelto di venire qui al termine di un tour in India che mi ha regalato sensazioni altrettanto straordinarie: una specie di “cura” per l’anima in un mondo azzurro e silenzioso, dopo il carosello di stimoli culturali e sensoriali nella terra dei Maharaja. Sono partito dalla capitale, Delhi, disorientante con i suoi circa 16 milioni di abitanti, affascinante quando ci si trova al cospetto di memorie storiche come la città antica (fondata nel XVII secolo), dove i monumenti Moghul sembrano sfidare il razionalismo architettonico britannico della città moderna. Ho visitato il Forte Rosso protetto dall’Unesco, i templi, l’India Gate, ho camminato lungo le strade, fra le botteghe degli artigiani, fino alla Foresta della Pace dove sono state cremate le principali personalità che hanno fatto la storia del Paese. Poi sono partito in direzione sud alla volta di Agra, per entrare in una dimensione d’amore. Il grande mausoleo del Taj Mahal che domina l’orizzonte cittadino, in raffinato marmo bianco, è il monumento più fotografato di tutta l’India: fatto costruire dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie defunta, ti appare da lontano come un miraggio, poi ti rapisce con i delicati motivi floreali in pietre policrome, i giardini, gli specchi d’acqua. Un tesoro d’arte e architettura che non rischia di sfigurare neanche davanti alle meraviglie della mia prossima tappa, le città dei Maharaja nello stato del Rajasthan, pieno di templi bellissimi e dimenticati e di residenze-gioiello come raramente ti capita di incontrare.

Difficile dire che cosa mi sia piaciuto di più, ma di sicuro ricordo, come fosse ieri, l’arrivo al tramonto al Palazzo dei Venti a Jaipur, quando sulla facciata rosso fuoco “brillavano” i balconi a bow-window dipinti di bianco, dietro ai quali le donne dell’harem un tempo guardavano fuori senza essere viste. Il tramonto è il momento propiziatorio per ammirare anche il settecentesco City Palace, un immenso complesso di templi ed edifici protetti da mura, che visiterò meglio la mattina successiva, concentrandomi sulla Galleria delle miniature indiane. Le residenze dalle Mille e una Notte qui sono moltissime e ti proiettano in una dimensione onirica, finché decidi di uscire dal labirinto di mura rosse, rosa, ocra, color miele, ricamate di decori e lavorate a nido d’ape, per raggiungere in pochi minuti la vallata alle porte della città dominata dal Forte Amber: un luogo perfetto, da Sindrome di Stendhal. Aveva proprio ragione lo scrittore indiano Giles Tillotson quando, nel suo libro Jaipur Nama, decantava la poesia di questa terra, dichiarando: «Cosa potrai mai ottenere dal mondo, se non hai mai visto Jaipur?».