La Colombia è una nazione bellissima, ricca di fascino, piena di spunti di viaggio, ma fra le molte suggestioni che regala al visitatore ce n’è una che mi ha colpito più di ogni altra. Questo è il Paese dove è nato Gabriel García Márquez, all’anagrafe Gabriel José de la Concordia García Márquez, Premio Nobel per la letteratura, il più grande scrittore colombiano di tutti i tempi. Prima di trasferirsi a Città del Messico, l’autore di Cent’anni di solitudine (il romanzo di lingua spagnola più letto al mondo) è cresciuto respirando le atmosfere incantate della sua terra: prima quelle del villaggio di Aracataca dove venne al mondo nel 1927, tra distese di palme, banani e canna da zucchero. Poi quelle di Cartagena de Indias, la città coloniale dove ha vissuto a lungo e dove, scriveva, «…ogni cosa è diversa… Questa solitudine senza tristezza, questo oceano incessante, questa immensa sensazione di essere arrivato…».
A Cartagena mi sono innamorato: non di una persona in carne e ossa ma del suo centro storico, la Ciudad Amurallada protetta dall’Unesco, piena di architetture cinquecentesche come il palazzo dell’Inquisizione e la Cattedrale di Santa Catalina de Alejandria. I fan dei libri di Márquez possono spingersi fino al quartiere di San Diego e cercare la sua casa di fronte all’oceano. Oppure possono allungare l’itinerario e andare in cerca dei luoghi dove lo scrittore ha immaginato il romanzo L’amore al tempo del colera: il Café Havana nel quartiere di Getsemani, plaza Fernandez de Madrid, plaza Bolivar, mentre l’Hotel Santa Clara, che anticamente era un convento, ha ispirato alcune pagine Dell’amore e di altri demoni. Ma la scoperta di Cartagena non si limita al tour letterario, qui è bello anche camminare senza meta, perdendosi nelle vie lastricate, fra le case coloniali piene di patii e ballatoi, fino alle antiche mura che abbracciano da secoli la città antica.
Fra una visita e l’altra s’impara a ballare la cumbia, la danza degli schiavi africani, o la scatenatissima champeta; si fa la spola fra i bar e i ristorantini del centro, oppure si scoprono i locali trendy come El Barón nel già citato quartiere di Getsemani, pieni di musica, di allegria, di gente che sorride. Insomma, si vive (il più possibile) come fanno i colombiani, prima di concludere il viaggio sulla spiaggia di qualche isola tropicale per fare il pieno di sole e di energia.
La scelta di solito è fra Las Islas del Rosario, più prossime alla città, e quella di San Andrés, capoluogo dell’omonimo arcipelago in pieno Mar dei Caraibi: tirando un po’ a caso (sono entrambe mete magnifiche) ho optato per la seconda, e mi sono trovato catapultato in un vero paradiso, la perfetta incarnazione del sogno tropicale con il mare dipinto da sfumature intense d’azzurro e le spiagge dal doppio nome, in inglese e spagnolo, a sottolineare l’anima “global” della località. I litorali dall’effetto borotalco lì sono molti, da Cayo Santander (o Coton Cay) alla “cittadina” Playa de San Andrés (San Andrés Beach), senza dimenticare El Acuario, un lembo di sabbia in mezzo al nulla perfetto per lo snorkeling (ma in realtà ogni spiaggia regala le sue suggestioni, ognuno troverà la sua preferita). Come in ogni isola caraibica che si rispetti anche qui non potevano mancare i pirati, e infatti c’è la grotta dove, secondo la leggenda, il mitico Morgan seppellì il bottino delle sue scorribande marine. Se vi fermate qualche giorno e non volete limitarvi al tour delle spiagge, vi consiglio di non perdere La Piscinita, paradiso dello snorkeling, e poi di visitare le foreste di mangrovie che costituiscono una presenza fondamentale per l’ecosistema di questo lembo di terra. A San Andrés c’è anche un geyser, quello di Hoyo Soplador: uno sbuffo di acqua marina che fuoriesce con cadenza imprevedibile dalla roccia corallina. Difficile sapere quando lo spettacolo andrà in scena, perché il fenomeno avvenga ci vogliono i venti e le correnti giuste, ma vale comunque la pena tentare. Se siete fortunati, i like delle foto pubblicate sui vostri canali social sono assicurati.