Miami è un ponte sospeso. Quello lungo sette miglia che collega la città alle Florida Keys, arcipelago di circa 1700 isole nel blu dell’oceano, fra l’Atlantico e il Golfo del Messico, e quello che la vuole come trait d’union culturale e geografico fra gli Stati Uniti e i Caraibi. Ma Miami è anche uno skyline punteggiato di palme e grattacieli, la sorpresa di imbattersi in architetture Art Déco in riva al mare, e poi capricci, tropicalismo, hotel che rivaleggiano in bellezza, quartieri dalla creatività non stop. Non a caso la più importante fiera globale dell’arte contemporanea, Art Basel, da tempo ha raddoppiato, affiancando alla storica kermesse svizzera quella che va in scena ogni dicembre a Miami Beach.
Il Mito di Miami Beach
Il mio viaggio parte proprio da qui, dalla mitica isola collegata dai ponti alla Miami continentale, con le spiagge dall’effetto borotalco a fare da suggestivo spartiacque fra l’oceano e la cornice di architetture Art Déco più belle d’America. Sono edifici color sorbetto costruiti fra gli anni ’20 e ’40 al posto di paludi e piantagioni, un inno alla fantasia architettonica raccontato (anche) nell’Art Déco Welcome Center che ne ripercorre la storia. Le più affascinanti si ammirano fra Ocean Drive e Collins Avenue, dove sfilano hotel come il Nautilis, fresco di restyling all’insegna di eleganti nuances color ocra, e il gettonatissimo Delano disegnato da Philippe Starck. Nella città dove anche un garage multipiano può rivelarsi un’icona (è quello progettato da Herzog & de Meuron, bello come un museo, con la struttura in cemento che incanta con la grazia di un origami), è facile lasciarsi rapire dalla vivace movida di Española Way, resa celebre dalla serie tv Miami Vice, o da una pausa relax sulle spiagge di South Beach, che fra granelli borotalco e un mare simile a vetro trasparente regalano un’anticipazione di Caribe.
Fra musei e architetture 2.0
Un esempio riuscito di popolarità glamour è il Design District, quartiere creativo e del lusso, dove le grandi griffe della moda aprono rooftop bar (per esempio il Dior’s Café, sul tetto della boutique) e la ristorazione vanta indirizzi blasonati come l’astro nascente Kaido, dagli interni “Tokyo-inspired”. Ma la nuova eleganza di cui si veste la metropoli non si limita a bar e ristoranti. In città si contano i lavori di diversi premi Pritzker – l’Oscar dell’architettura – dall’One Thousand Museum progettato da Zaha Hadid, al Pérez Art Museum di Herzog & de Meuron, ispirato alle capanne su palafitte. A dare ulteriore lustro alla vocazione culturale di recente è arrivato l’Ica-Institute of Contemporary Art, con lo spettacolo di luci riflesse dai pannelli metallici che lo rivestono e l’ingresso gratuito alle sale espositive. Mentre il Faena District è un hotspot globale della scena creativa, un mosaico di architetture firmate Norman Foster e soprattutto Rem Koolhaas, autore degli iconici Faena Forum, Bazaar e Parco: tre architetture distinte ma collegate da una sequenza di vie e piazze, destinate a mostre, concerti, banchetti, parcheggi e raffinate camere d’hotel…
Da Little Haiti a Little Havana
Ma Miami, ovviamente, non è solo modernità mista a glamour. Più della metà degli abitanti sono latinoamericani, un “popolo” dall’allegria scanzonata che ha colonizzato diverse aree cittadine, a partire da Little Havana e Little Haiti. La prima conta botteghe e locali tipici lungo la 8th Street (o Calle Ocho, alla spagnola), come i negozi che vendono le tipiche camicie guayaberas e le manifatture di sigari – per esempio Cuba Tobacco Cigar Co. A Little Haiti, le tradizioni radicate nella cultura dell’isola si traducono in murales colorati, negozi di dischi perennemente affollati, bancarelle di frutta e gallerie di artisti in cerca di affitti più economici rispetto ai distretti dell’upper class. Da quartiere, un tempo, degradato, Little Haiti si sta trasformando in un polo artistico e culturale all’insegna di una gentrificazione dall’anima multietnica. Senza contare che indirizzi come il Little Haiti Cultural Center, pieno di gallerie d’arte, teatri, studi di danza e il coloratissimo Caribbean Marketplace, hanno il potere di sedurti. E di farti volare, almeno con la mente, verso il Mar dei Caraibi.
In volo verso il Mexico
A Playa del Carmen, sotto un cielo da Messico e nuvole, la luce rossa del tramonto abbraccia una delle località più celebri della Riviera Maya, il Caribe messicano ad alta vocazione turistica a portata d’aereo da Miami. Scoprire questa cittadina è facile, basta percorrere la Carretera Federal 307 che da Cancún segue tutto il litorale caraibico fino al sito archeologico di Tulum, 130 chilometri più a sud. Un tempo villaggio di pescatori, Playa del Carmen è la regina di questo tratto di costa: hotel eleganti, locali, ristoranti, la spiaggia che fino a pochi decenni fa era completamente vergine. Di fronte, a portata di traghetto, l’isola di Cozumel è un fazzoletto verde che consiglio vivamente di scoprire, visto che conserva una riserva faunistica naturale, qualche rovina maya e chilometri di barriera corallina davanti alla costa meridionale che gli appassionati di immersioni considerano fra i migliori spot al mondo. Ma da Playa del Carmen si può anche noleggiare una macchina e partire alla scoperta della costa, dai parchi tematici di Xcaret e Xel-Há, ai cenotes – gli antichi pozzi dove è possibile nuotare e fare immersioni nelle grotte sotterranee – fino a Tulum: l’unico sito maya in riva al mare, autentica star di questo spicchio di Messico tropicale al profumo di storia.