Racconti di viaggio

Birmania, viaggio dello spirito

Il viaggio da Yangon a Bagan è una poesia di soffici brume e atmosfere crepuscolari. Nessun contrasto, niente luci e ombre, solo i chiaroscuri di un paesaggio che cambia dolcemente, passando dalla vivacità dall’ex capitale birmana, con i suoi 6 milioni di abitanti e il suo carico di modernità improbabile, a luoghi remoti e affascinanti dove il Buddismo è molto più di una religione nazionale. «Per essere considerato un vero credente ogni uomo deve vestire almeno una volta i panni porpora del monaco… pochi giorni di ritiro in un monastero non cambiano la vita, ma creano sicuramente karma positivo per quella successiva», precisa Bob Percival, uno scrittore australiano stregato dai paesaggi del Myanmar (il nome moderno del Paese) dove oggi vive, creando tour letterari sulle tracce di autori come Pablo Neruda, Rudyard Kipling, George Orwell: «Quattro pagode, cinque, sei, sette… con merletti di pietra con campanelli tintinnanti al vento, ogni squillo una preghiera» scriveva per esempio Orwell nel 1934 nel suo primo romanzo, Burmese days.

 

Laghi e pagode d’oro

Difficile tenere il conto di tutte le meraviglie che si possono incontrare viaggiando in Birmania: il lago Inle con il suo poetico idillio fatto di brume, case in legno sospese sull’acqua e orti galleggianti allestiti sugli isolotti ancorati al fondo da pali di bambù. Oppure la pagoda di Kyaiktiyo che tutti conoscono come pagoda della Roccia d’Oro, per via delle foglie dorate che ricoprono il masso di granito sul quale è adagiato un piccolo stupa. Un luogo simbolico eletto a vera icona: per i fedeli è infatti uno dei principali siti destinati al pellegrinaggio, insieme alla grande pagoda di Shwedagon a Yangon (imperdibile!) e al Tempio Mahamuni nella città di Mandalay, che ospita una grande statua dorata di Gautama Siddharta.

 

 

I monasteri di Mandalay

Viene proprio da qui, da questa città sul fiume Irrawaddy, la prova che l’impronta buddista permea ogni aspetto della società. Fondata alla metà dell’Ottocento dall’imperatore Mindon Min per diventare capitale, Mandalay è stata a lungo soprannominata la “metropoli del Buddismo”. Le sue centinaia di stupa e monasteri raccontano di divinazioni e di leggende, come quella che vuole il Buddha in cima a una collina per annunciare la fondazione della futura capitale. Fra le molte meraviglie, consiglio di visitare il monastero di Mahagandayon, perennemente affollato di fedeli, e la Kuthodaw Paya dove è custodito il libro più grande del mondo. Poi non perdete l’U Bein Bridge, un incredibile ponte di teak che si allunga per oltre un chilometro sul lago Taung Tha Man, prima di concedervi una crociera sulle placide acque del fiume. Nel gioco delle maree che scandiscono i tempi della navigazione, vedrete scorrere davanti agli occhi il via-vai incessante di devoti nei templi che si specchiano sull’acqua.

 

 

L’incanto di Bagan

Come spesso capita, il vero capolavoro è alla fine del viaggio. La città di Bagan è un miracolo di oltre tremila templi di mattoni e bianca pietra calcarea che, in una frenesia edilizia durata più di 200 anni, dall’XI al XIII secolo, bucano la pianura con le loro cupole e pinnacoli a 24 carati, regalando la visione di un inno senza fine alla gloria del Buddha. Il sito è vastissimo e si scopre in macchina, in bicicletta, perfino in mongolfiera. Se il regolamento non lo vieta, come è avvenuto in passato, il mio consiglio è di arrampicarvi al tramonto sulle cinque terrazze del tempio di Shwesandaw per ammirare lo spettacolo del sole che incendia di rosso le pietre della città mistica. Poi a riportarvi nella realtà ci pensano i bambini che si contendono i turisti ai piedi del monumento, improvvisando domande in tutte le lingue del mondo. «Where are you from, Italy? Compra longyi (il gonnellone tradizionale birmano), statua Buddha, libro Orwell». Inutile mentire spiegando che non sei interessato ai romanzi in inglese: ce l’hanno anche nella versione italiana.