Ci siamo, il pilota ha annunciato l’atterraggio. Mi avvicino al finestrino e riconosco il paesaggio sotto di me fatto di mare verde smeraldo ed ettari di macchia verde: è la selva messicana, che per fortuna, nonostante il proliferare di resort lungo tutta il litorale, rimane ancora una parte importante del suo territorio.
Torno a Playa del Carmen dopo 18 anni e trovo tutto cambiato, io stessa, da allora lo sono. Ho attraversato il mondo in lungo e in largo e sono cresciuta, mutata nell’aspetto fisico ed in quello intellettuale, ma non ho smesso di collezionare conchiglie, le miniature sono le mie preferite, o di rimanere in silenzio a contemplare posti unici e magici. Ed è proprio in uno di questi dove vi porterò oggi..
Mi trovo nella bellissima Reserva de la Biosfera Sian Ka’an, il cui significato in lingua Maya è già poesia: “dove nasce il cielo”!
Si lascia la strada principale appena dopo Tulum, si percorre una carretera per un’altra mezzora circa e poi uno sterrato non troppo agibile, soprattutto, come capita a noi, se la sera prima ha diluviato. Si supera un ponte dal quale ci soffermiamo ad ammirare un grande esemplare di coccodrillo. La nostra guida Lorenzo, italiano di nascita, messicano nell’anima, ci racconta l’aneddoto legato ad uno spavaldo ed irresponsabile turista che per dare prova di audacia si è lanciato nel fiume e solo grazie ad un amico che ha distratto l’alligatore è riuscito poi mettersi in salvo. Per la diversità delle specie che vi proliferano, oltre quattrocento e dei paesaggi che la caratterizzano, foresta tropicale, savana, spiagge, palmeti, barriere coralline e cenotes, unica riserva di acqua dolce e potabile nel territorio dello Yucatan, la riserva è riconosciuta dal 1987 come Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Ci imbarchiamo su delle lance e ci proiettiamo nella sua laguna. In breve tempo raggiungiamo l’isoletta di San Juan: benvenuti nel paradiso del birdwatching!
Stormi di fregate sorvolano intricate mangrovie, che grazie alle loro possenti e robustissime radici offrivano rifugio ai Maya i quali vi restavano accovacciati per giorni interi quando gli uragani si abbattevano sulla costa. Il maschio della fregata si riconosce per una macchia rossa sotto il collo ed il suo richiamo ricorda il rumore del tamburello. Pensate che questo esemplare può planare fino a 7 giorni consecutivi senza mai sbattere le ali! Sugli alberi più irti ecco spuntare il nido dell’aquila pescatrice. Monogama per definizione si lascerà morire una volta che il compagno o la compagna morirà. I cormorani ci allietano con il loro canto, mentre i pellicani, dentro la cui sacca possono trasportare fino a 4 chili di pesce, si librano sopra le nostre teste. Lorenzo ci fa segno di guardare aldilà del palmeto: una spatola rosa il cui colore è dato dal suo cibo preferito, i gamberetti, sta accudendo i suoi piccoli! Lasciamo San Juan e ci dirigiamo in mare aperto dove in breve tempo veniamo circondati da decine di delfini che giocano a rincorrerci, tuffandosi e scomparendo sotto la scia delle nostre barche, per poi ritornare in superficie rendendoci complici in un gioco di infinite emozioni.
E dove l’acqua si fa più distesa ed il mare cristallino come dentro ad una piscina, le tartarughe bianche spuntano come per incanto, come se avessimo dato loro appuntamento. La comunità di Punta Allen, insieme ai biologi marini, lotta per questa specie rimasta tale ed immutata fin dall’epoca dei dinosauri, perché possa sopravvivere all’estinzione, per rieducare l’uomo ad avere maggior cura e rispetto dell’ecosistema in cui vive ed in cui le generazioni future dovranno vivere.
Mentre lascio la biosfera, una strana malinconia mi assale. È come se mi allontanassi da un lido sicuro, da un luogo che nonostante il passare dei secoli ha mantenuto qualcosa di mistico e sacro, dove la tua richiesta di pace verrà soddisfatta, la rabbia placata dalla quiete, mentre l’ultima stella della sera si dissolverà nella prima luce dell’alba, proprio là: “dove nasce il cielo”!