Racconti di viaggio

Aruba, One Happy Island

Aruba è il luogo dell’assurdo, un tappeto di cactus precipitato nel Mar dei Caraibi, abbracciato da una cornice di palme, con una capitale, Oranjestad, che ricorda uno spicchio d’Olanda (l’isola fa parte del Regno dei Paesi Bassi). Sono proprio questi paradossi, questo Caribe che non ti aspetti, a conferirle un fascino unico.

Non capita spesso di atterrare in un paradiso tropicale dalle dimensioni abbordabili (circa 180 chilometri quadrati, meno dell’isola d’Elba), dove gli standard di vita europei si armonizzano, chissà come, con la tentazione di oziare pigramente sulla spiaggia: è “colpa” della fortunata posizione geografica, a poche miglia dal Venezuela, al riparo dalle rotte degli uragani, se ad Aruba è sempre estate. Così non stupitevi se il soprannome dell’isola, che qui tutti vi ripeteranno come un mantra, è One happy island. Che non è un semplice slogan, ma il risultato di uno studio effettuato dal Rose College of Hospitality Management dell’Università della Florida, dove emerge che il 78% degli arubani è felice, battendo ogni record mondiale.

 

Le spiagge Chi vola dall’altra parte dell’oceano la prima cosa che sogna è di stendere l’asciugamano su un tappeto di soffici granellini bianchi, all’ombra di una palma, davanti a un mare color arcobaleno. L’unica difficoltà, semmai, è quale spiaggia scegliere. In testa alla classifica dei lidi più belli dei Caraibi, Eagle Beach è la superstar della costa (la terza spiaggia top del pianeta secondo il TripAdvisor Traveler Award 2019), abbracciata da acque turchesi e celesti e punteggiata dai curiosi fofoti, gli alberi nodosi piegati dal vento, eletti a simbolo nazionale. Altri lidi magici sono la popolare (e chilometrica) Palm Beach, Boca Catalina appena sotto il suggestivo Faro California (fra le più indicate per lo snorkeling), Baby Beach che si affaccia su una laguna di acqua poco profonda.

Per un indirizzo da local puntate su Mangel Halto, con la cornice di mangrovie che si specchiano nel mare trasparente e un solarium in legno sospeso sull’acqua. Per il windsurf e il kitesurf andate invece a Boca Grandi, con le onde cariche di spuma e gli Alisei che soffiano tesi e costanti, proprio come piace agli addicted di questi sport.

 

Un po’ di storia Le origini di Aruba parlano la lingua dei Caquetio, una civiltà arrivata dal Venezuela, di cui rimangono testimonianze nelle pitture all’interno delle grotte (per esempio la Fontein Cave) e nelle sale del National Archaeological Museum di Oranjestad. Nel 1499 arrivarono gli spagnoli, un secolo e mezzo più tardi gli olandesi che, ad eccezione di un paio di parentesi britanniche, vi rimarranno a lungo, concedendo nel 1986 all’isola un proprio status autonomo nel Regno dei Paesi Bassi. Altra curiosità: gli abitanti (circa 110 mila) sono figli di decine di nazionalità diverse, e il paesaggio segue regole tutte sue. Se la costa è – indubbiamente – caraibica, la superficie piatta dell’interno, interrotta solo dalla collina vulcanica di Hooiberg, regala scorci desertici, dune di sabbia e abbondanza di cactus e aloe (per approfondire andate all’Aruba Aloe Factory and Museum).

Poi arrivano scogliere modellate dalle onde e dal vento, grotte, piscine naturali e un Parco nazionale, quello di Arirok, che è un po’ la sintesi di quanto descritto finora. Copre il 20% del territorio e mette in scena paesaggi caleidoscopici, dalle baie borotalco alle rocce ricoperte di incisioni rupestri, dagli angoli di lava e diorite che brillano come improvvisate sculture di land art ai letti secchi dei fiumi, da esplorare in 4×4.

 

Il volto meno noto dell’isola Paragonato allo skyline di Oranjestad, fitto di architetture di memoria olandese, yacht, hotel di lusso, boutique alla moda e casinò, l’ottocentesco mulino a vento nel cuore dell’isola sembra quasi surreale.

Non è lontano dalla Butterfly Farm, con le farfalle che volano libere in un giardino protetto da reti trasparenti, mentre bisogna recarsi all’estremo sud per curiosare fra le vie dell’antica capitale San Nicolas e lasciarsi rapire dai disegni colorati dei murales lungo la Main Street: volti di donne, animali, pesci, realizzati da writer di tutto il mondo durante l’annuale Aruba Art Fair. L’arte ritorna anche nella capitale, dove il centro culturale Unoca espone, divise in sezioni, le opere più significative della creatività arubana. Poi c’è il carnevale, che dura un mese, ed è la festa più importante: sfilate, ballerini, costumi (d’obbligo piume e paillettes), carri e decine di party a base di piña colada e Balashi, l’ottima birra locale, a suggellare un mood che a questo punto avrà rapito anche voi, cancellando ogni possibile dubbio: questa è davvero l’isola più felice del pianeta.