Racconti di viaggio

Reportage dalla Namibia

Arrivare in Namibia è come mettere piede nella terra del silenzio. È una delle nazioni più giovani del pianeta (l’indipendenza dal vicino Sudafrica risale al 1990), fra le più sensibili alla tutela dell’ambiente. Per questo una volta atterrato nella capitale Windhoek, sono subito partito in 4×4 alla scoperta della vera anima del Paese: deserti, animali, altopiani sconfinati che regalano un senso impagabile di libertà. Le tappe del mio tour? Il parco Etosha, che nella lingua locale significa grande luogo bianco; l’enclave tedesca di Swakopmund; il Damaraland, patria di elefanti e rinoceronti neri; infine i deserti del Namib e del Kalahari, perfetti per fuggire dal caos ed entrare in contatto con la parte più profonda di noi stessi.

Le meraviglie dell’Etosha

Nel nord della Namibia, il parco nazionale d’Etosha è la casa di molti animali. Eppure, come indica il nome, che in lingua oshivambo significa grande luogo bianco, per circa un quarto è ricoperto di sale. Nessuno penserebbe che attorno al Pan, il lago salato che sembra avvolto da una coperta color latte dove brillano milioni di cristalli rosa, possa esserci qualche forma di vita. Eppure basta allontanarsi di poco dalle sue sponde aride per avvistare leoni, elefanti, zebre, giraffe, impala. Poi proseguendo verso sud arrivano villaggi, colline isolate, vette vulcaniche, di nuovo pianure. Un mosaico inaspettato di meraviglie prima dell’infinita maestosità del Waterberg, l’altopiano dove vive il ghepardo.

L’altopiano del Waterberg

A forma di esse allungata, questo plateau che nel 1972 è stato dichiarato area protetta è al centro di un progetto di recupero di molte specie animali. Il ricco ecosistema che lo contraddistingue è una risorsa straordinaria per la riproduzione di specie in via d’estinzione, dal rinoceronte bianco all’antilope nera, e la sua forma piatta e lunga che ricorda la Table Mountain sudafricana di Cape Town, ma in versione extralarge, è una cartolina indelebile per chi, come il sottoscritto, si commuove come un bambino davanti all’immensità degli spazi africani. Ve lo garantisco: le sue rocce rosse che emergono dal verde della foresta, come un canyon addolcito dalla vegetazione, o una montagna orizzontale che finisce chissà dove, sono i frammenti di una poesia difficile da dimenticare.

La madre di tutti i deserti

Dicono che il Namib sia il deserto più antico del pianeta: si estende per quasi 2000 chilometri lungo la costa, e vanta dune di sabbia finissima alte più di 300 metri (la più instagrammata è la numero 45, nell’area di Sossusvlei). Fa caldo, eppure gli elefanti si sono adattati a vivere in questo mondo arido, al limite del surreale, nonostante debbano percorrere molti chilometri al giorno alla ricerca di una pozza d’acqua. La linea dell’orizzonte è bucherellata dai tronchi pietrificati delle acacie, ovunque ti giri vedi distese infinite di sabbia rossa, finché improvvisamente sale la nebbia: si alza come un muro dall’oceano, lambisce le spiagge oceaniche e poi avanza verso l’interno, portando preziose goccioline di umidità in questo luogo al limite della sopravvivenza. Nel miracolo della vita racchiuso in bolle minuscole di vapore, sembra che le fredde correnti dell’Atlantico si divertano a danzare con il caldo cuore africano.

I tedeschi di Namibia

La città di Swakopmund, nella Namibia occidentale, è un’enclave tedesca nel Continente Nero. Un secolo fa gli architetti si prodigarono per costruire un angolo di Baviera a sud dell’Equatore, e anche il clima, che nei mesi più freddi dell’anno di notte scende sotto zero, sembra più teutonico che africano. Il vero motivo che mi spinge fin lì, però, non è la curiosità. Questo è il cancello dello Skeleton Coast National Park, un’area protetta dai paesaggi lunari e dune di sabbia che cambiano forma e colore a seconda del vento, davanti alle quali nuotano indisturbate le foche.

L’ultima meraviglia: il Kalahari

Il Kalahari è fra i deserti più grandi del mondo (si estende nella parte orientale del Paese per poi penetrare in Sudafrica e Botswana). Si sa, per un deserto non esistono confini geografici. E questa infinita distesa di sabbia allungata su un immenso altopiano sembra davvero un mondo a sé. Qui oltre alla sabbia ci sono le praterie abitate da iene, leoni, uccelli, rettili, orici. E qui ho assistito a una commovente combinazione di tramonti infuocati e notti profonde e senza vento, dove il cielo era un velluto nero spruzzato dal bianco incandescente della Via Lattea. Così almeno appariva a me, mentre mi addormentavo cullato dalle visioni – che presto sarebbero diventate ricordi – della mia Africa personale.