Racconti di viaggio

Perù Misterioso

Le montagne non sono tutte uguali. Le Alpi sono l’espressione dei climi e le bellezze naturalistiche dei Paesi che attraversano, dal Mar Ligure allo Spluga, fino ad Austria, Slovenia, Ungheria, passando dai pini marittimi alle vette incappucciate di neve (più qualche ghiacciaio come il nostro Monte Bianco). Lo Yosemite e la Sierra Nevada, fra la California e lo Stato del Nevada, al granito solido affiancano un clima e una vegetazione che in Europa non sarebbero pensabili a quelle altitudini. Il Sud America è addirittura ipnotico, con la Cordigliera delle Ande che incornicia per oltre 7200 km la costa occidentale del continente, dei quali una buona parte scorrono in Perù.

È proprio lì che ho scelto di andare, su quelle cime che sfiorano i 7000 metri sul livello del mare (anche se a dire il vero mi sono fermato molto più in basso, accontentandomi di passare da 30 metri di Lima ai 3850 metri di Puno), opponendo al fascino della roccia sferzata dal vento quello di altopiani desertici e ammalianti, dove capita di incontrare misteriose linee “incise” nel terreno arido. Sono i geoglifi di Nazca: un’area di 500 kmq nel deserto peruviano dove l’antico popolo dei Nazca tra il 200 e il 600 a.C. ha tracciato 13.000 linee, più centinaia di spirali, triangoli, trapezi, che incrociandosi creano figure gigantesche di animali. Quando sei a terra non le percepisci, per ammirarle devi prendere un aereo turistico e sorvolarle dal cielo, sapendo però che non troverai una risposta sul perché siano state create. Anche l’ingresso nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità protetti dall’Unesco non ha placato le polemiche: scartate le ipotesi degli Ufo e dei calendari astronomici, per gli studiosi la più attendibile rimane quella dell’acqua. Alcune linee arrivano fino alle montagne gonfie di ruscelli, altre scorrono in corrispondenza di canali sotterranei, ma siamo comunque nel campo delle ipotesi: nessuno sa con certezza cosa abbia spinto un popolo così antico a realizzare quei misteriosi disegni nella pampa.

Le Ande, però, non fanno da sentinella solo a siti dal significato occulto. Dalle piazze coloniali di Arequipa (la seconda città del Paese dopo Lima), dove sono andato per ammirare il monastero di Santa Catalina con i muri colorati di blu e di rosso, e le architetture bianche di Plaza de Armas (una sorta di museo all’aperto che comprende anche la cattedrale), i vulcani di El Misti e Chanchani incappucciati di neve sono così vicini che sembra quasi di poterli toccare. Al ristorante Chicha ho assaggiato il ceviche (variante peruviana del sushi, nonché piatto nazionale) più buono che mi sia capitato di mettere sotto i denti, cucinato dal mega chef Gastón Acurio che ha esportato le delizie della cucina “di casa” in tutto il mondo.

Poi sono partito alla volta di Colca, un canyon che si allunga nel cuore delle Ande raggiungendo la profondità massima di 3300 metri, con percorsi trekking senza fine in un paesaggio incantato, i condor che volano alti in cielo e tutt’intorno saline, vulcani e la Riserva nazionale di Aguada Blanca istituita nel 1979 per la protezione di laghi, ghiacciai e pianure alto andine dove gli abitanti convivono con lama e alpaca.

Ci sono anche i campi terrazzati “scolpiti” sui ripidi pendii del canyon, belli come quelli nel cuore di Bali, che risalgono ai tempi degli Inca e sono una manna per la produzione di orzo, fagioli, quinoa. Meraviglie di questo lembo di Perù, che anticipano i 3850 metri di Puno, la città  e, per il sottoscritto, il luogo alla massima altitudine di questo viaggio fra deserti e montagne (per acclimatarsi consiglio di bere molta acqua e all’inizio di non stancarsi troppo).

Sotto un cielo terso dove il sole non tarda a sorgere, respiro a pieni polmoni l’aria pulita della pianura che rende i colori vividi e intensi, compresi quelli azzurri del lago. Cusco, la tappa successiva, regala visioni più urbane come la Cattedrale coloniale dagli interni barocchi, la chiesa di Santo Domingo edificata sui resti di un tempio precolombiano e, poco lontano, le rovine di Písac, dominate dal Tempio del Sole e dalle terrazze realizzate dagli Inca, che ricordano una Shangri-La andina. Oltre che bellissima, Cusco è anche un punto di passaggio obbligato per il Machu Picchu, la montagna sacra che io affronto a piedi lungo l’Inca Trail, armato di scarpe da trekking e zaino, ma che la maggior parte dei turisti raggiunge in minivan o in treno fino ad Aguas Calientes (qualcuno anche in bici, ma bisogna avere ottime gambe).

L’arrivo al Machu Picchu è indimenticabile: consiglio di andarci al mattino presto quando i turisti sono ancora relativamente pochi (non dimenticate che l’80% di chi fa una vacanza in Perù mette questo sito nel proprio carnet di viaggio) e di starvene per un po’ seduti su un prato, senza fare niente, in pura contemplazione della città perduta che si allunga ai vostri piedi. Fino a un secolo fa la conosceva solo qualche famiglia Inca, finché lo storico americano Hiram Bingham la raggiunse nel 1911 facendo da quel momento esplodere la sua fama, tanto che per salvaguardare il luogo, Unesco e governo hanno dovuto calmierare gli ingressi giornalieri. Nonostante la fama e l’inevitabile folla di turisti, il Machu Picchu ha qualcosa di magico. La grandiosità delle montagne, la drammaticità delle rovine ti fanno sentire nel cuore antico del mondo, anche se in realtà nessuno può dirti con esattezza dove ti trovi: un santuario, una città sacra, un centro politico, religioso, amministrativo? Sarà per la poesia della natura, o per il senso di mistero che aleggia fra i resti di templi e palazzi, ma il mio ultimo pensiero prima di partire alla volta di Lima era inequivocabile: le montagne non sono tutte uguali, ma queste di sicuro sono le più belle di tutte.