Racconti di viaggio

Meravigliosa Thailandia

La Città degli Angeli (soprannome di cui Bangkok detiene il copyright, ma che per questioni cinematografiche si trova costretta a condividere con Los Angeles) è la prima cartolina di un viaggio in Thailandia. Si atterra e, jet-leg o non jet-leg, non si può fare a meno di scoprirla. Anche se l’abbiamo già vista, anche se magari siamo lì per le spiagge paradisiache delle isole e non per il caos poetico di una capitale di 10 milioni di abitanti dove il cemento convive con angoli di antica bellezza, nascosti nel dedalo di vicoli o esibiti sul lungofiume. Bangkok è così: puoi ordinare cocktail sul tetto di un grattacielo (dallo Sky Bar sul rooftop della State Tower, al Cru Rooftop Champagne Bar in cima al Centara Grand), fare shopping nei mall collegati da passerelle aeree, viaggiare in metropolitane sospese che corrono a filo dei piani alti dei palazzi. Oppure puoi tuffarti nella nostalgia rétro dei Wat, i templi di assoluta quiete, navigare sui canali alimentati dalle acque del fiume Chao Phraya, perderti nell’incanto dorato del Palazzo Reale, un labirinto metafisico di stupa, colonne e grandi statue dedicate a Buddha come quella di smeraldo, considerata la più preziosa del Paese. Bangkok è tutto e il contrario di tutto: l’essenza dell’antica terra dei Siam e l’equivalente asiatico di una Londra degli anni d’oro, dove le bancarelle di street food convivono con i ristoranti stellati e i mercati dei fiori sono affollati quanto le sale del Moca: il museo d’arte contemporanea che sta alla Città degli Angeli come il Moma sta a New York.

Le antiche capitali del Siam

Bangkok è la capitale tailandese dal XVIII secolo, ma prima di allora sulle sponde del fiume Chao Phraya non c’erano né templi, né palazzi reali: solo poche case di pescatori dove si viveva di pesca e commercio. Fino ad allora la regina del Siam era Ayutthaya, 80 chilometri più a nord. Protetta dall’Unesco, la città è ancora un incanto di templi e palazzi scolpiti come merletti, porte monumentali e stupa color oro che dialogano con architetture occidentali e una cattedrale del XVIII secolo dedicata a San Giuseppe, a sottolineare che un tempo è stata l’epicentro del regno, sede di scambi (culturali e commerciali) con i principali Paesi dell’Occidente. Prima ancora di Ayutthaya però c’era un’altra capitale, Sukhothai: una città a oltre 400 chilometri da Bangkok, adagiata nella valle del fiume Yom, che per 140 anni ha dominato gran parte dell’Indocina, come testimoniano i monumenti (anche loro, patrimonio Unesco) lasciati in eredità. Soffermatevi per un attimo sul toponimo: Sukhothai, ovvero, “Alba della Felicità”. Quella spiritualità è ancora impressa in luoghi-culto come il Parco Storico, pieno di siti archeologici, stagni, templi circondati dall’acqua. Se poi vi lasciate conquistare dalle preziose sculture esposte nelle sale del Museo Nazionale di Ramkhamhaeng sappiate che si possono acquistare, in versione contemporanea e in dimensioni ridotte, nei laboratori cittadini aperti non lontano dai principali siti monumentali.

La magia del Triangolo d’Oro

Chiang Rai non è stata capitale, almeno non del Siam, ma è la porta d’ingresso (o d’uscita) del Triangolo d’Oro: un territorio montuoso incastonato fra Thailandia, Birmania e Laos, segnato dalle tradizioni della civiltà thai-buddista, distante circa 800 chilometri (e 75 minuti di volo) da Bangkok. Chiang Rai è anche un tuffo nella Thailandia del passato. Affacciata sul fiume Kok, affluente del Mekong, fondata nel 1262 come capitale della Dinastia Mangrai e annessa al Siam nel 1899, anticipa la scoperta di Chiang Mai: un altro gioiello urbano del Nord conosciuto per i templi e i tour nella foresta, i corsi di cucina e le risaie, gli elefanti e le donne-giraffa della tribù Kayan – il cui collo viene allungato, fin da bambine, attraverso una sequenza di anelli ornamentali impilati. Come sempre, anche qui la superstar è un tempio buddista: quello di Wat Phrathat Doi Suthep sulla cima di un colle alle porte della città, che secondo la leggenda conserva una reliquia di Gautama Siddharta portata da un elefante bianco. La scalinata di 300 gradini che si arrampica fino all’ingresso merita la fatica, i suoi stupa dorati invasi da un fiume di pellegrini sono fra i più fotografati di tutta la Thailandia. Incenso, candele, fiori: i devoti pregano incuranti dei turisti, come in un luna park in bilico fra il sacro e profano, sotto un cielo inondato di sole. Poi, la sera, una cena speziata al ristorante-galleria d’arte Gallery Seescape a Chiang Mai, un piatto Thai-Asian fusion da Asian Roots o uno street food al Night Bazaar, sarà comunque magia.