Racconti di viaggio

Cape Town fra arte e natura

Secondo Trevyn e Julian McGowan, ideatori di Southern Guild – associazione che promuove il design sudafricano nel mondo – il segreto è la Table Mountain: «È grazie al magnetismo di questa montagna di poco più di mille metri d’altezza, piatta come un ferro da stiro capovolto, se Cape Town richiama così tanti artisti da tutto il mondo».

Sul fascino del rilievo montuoso, che il Cape Doctor (il vento) prima avvolge di nuvole, poi fa brillare come una gemma preziosa sullo sfondo di un cielo blu Pantone, sono nate molte leggende. Qui noi ci limitiamo a un consiglio: andateci e guardate. Da lì con uno sguardo si abbraccia tutta la città, fino al mitico promontorio di Buona Speranza con l’oceano increspato di onde che nei secoli ha affondato centinaia di navi, durante il folle, ma irrefrenabile tentativo di esplorazione verso nuovi mondi.

Fondata nel 1652 dall’ammiraglio olandese Jan van Riebeeck, la “mother city” di Nelson Mandela è una San Francisco in versione africana. Le cose da vedere sono molte, a partire da un vecchio magazzino fatiscente che un lungimirante progetto di riconversione ha trasformato nel Zeitz Mocaa, il più grande museo al mondo dedicato all’arte contemporanea del Continente Nero. Per andare sul classico ci sono il Castello di Buona Speranza, la costruzione più antica del Paese, e la Groote Kerk, la prima chiesa.

Poi arrivano le ottocentesche casette vittoriane di Long Street, la lunga via bohémien delle gioiellerie e dei negozi di libri e antiquariato che si allunga in direzione del mare, oppure Bo-Kaap, il settecentesco quartiere malese, ripulito e tirato a lucido, dove abitano ancora i discendenti degli schiavi catturati dagli olandesi quattro secoli fa. Un pittoresco angolo di Oriente fra il City Centre e i verdi pendii della Signal Hill.

Altri nomi da ricordare sono quelli del Victoria & Alfred Waterfront, il vecchio porto in stile vittoriano ristrutturato, ampliato e trasformato nel quartiere più vivace della città, pieno di hotel, ristoranti, boutique e attrazioni turistiche (di fronte, Robben Island è l’isola-carcere, oggi museo, dove Nelson Mandela fu detenuto per diciott’anni). Oppure Woodstock, area in forte riqualificazione, dove lavorano artisti come Lisa Firer, maestra nella creazione di vasi in porcellana, e le giovani promesse Pedersen e Lennard: nel loro showroom, metà esposizione e metà caffetteria, gli oggetti di design sono esposti con nonchalance accanto ai banconi dove una tribù edonista beve spremute e cappuccini armata di laptop e smartphone. È il trend cittadino, spazi multi-funzionali in fabbriche dismesse. E riconvertite.

 

Nello stesso “centro post-industriale”, il ristorante Superette è l’hub gastronomico del quartiere: sui grandi tavoli in legno si discute di tendenze, proprio come era nell’intenzione dei due proprietari, Cameron Munro e Justin Rhodes, che qui gestiscono anche Whatiftheworld, una galleria d’arte nell’ex sinagoga a poche centinaia di metri. Quella che un tempo era una fabbrica di mobili è diventata Truth Coffee Roasting, bar-torrefazione con camerieri in cilindro, lampade e prese della corrente che scendono sui tavoli, come liane di alberi high-tech, per consentire ai clienti, fra un caffè e l’altro, di lavorare tutto il giorno con Mac e pc.

Non lontano, un ex biscottificio è stato trasformato nell’Old Biscuit Mill, polo di tendenza per il food market del sabato mattina, che calamita anche i residenti dei quartieri “In” grazie a frullati supervitaminici e piatti etnici, dalla paella alle zuppe toscane. Fra queste architetture in mattoni a vista, obbligatorio prenotare una cena a The Test Kitchen, il ristorante più cool del Capo, dove gli ingredienti e le tecniche per cucinare si fondono in un métissage inaspettato, dando vita a proposte come le capesante grigliate con asparagi e tofu, accompagnate dai migliori vini sudafricani.

Quegli stessi vini si possono poi acquistare a Constantia, un elegante quartiere residenziale fuori dal centro, che vanta alcuni dei migliori produttori di bianchi e rossi del Paese (come quelli con l’etichetta Klein Constantia Wine). Altra area da tenere in considerazione è Stellenbosch, un angolo di Olanda a poco più di mezz’ora di macchina da Cape Town, epicentro della Wine Route, nel cuore delle Cape Winelands: oltre a vigneti e cantine, vanta la principale università afrikaans (la lingua dei boeri) della provincia e la ricostruzione di un villaggio-museo dell’epoca dei coloni.

Sulla strada fra Stellenbosch e il Capo di Buona Speranza, Simon’s Town, look vittoriano in memoria del suo passato di base navale britannica, è passata alle cronache per via della colonia di pinguini che popola la cittadina spiaggia di Boulder. Un’altra manciata di chilometri e si arriva nel luogo dove tutto ebbe inizio: quel promontorio finis terrae, con le scogliere a strapiombo e il vento che gonfia di onde l’oceano, definito il “Capo più bello del Mondo” da Sir Francis Drake, mentre lo circumnavigava nel 1580. Con i finestrini dell’auto bene alzati per non fare entrare i babbuini (ladri di cibo formidabili!), si varcano i cancelli del Cape Peninsula National Park per ammirare l’abbraccio fra l’Africa e l’Atlantico meridionale. E prendere la suggestiva funicolare, soprannominata Olandese Volante, fino al punto panoramico di Cape Point.