Racconti di viaggio

BRASILE: LA ROTTA DELLE EMOZIONI

Dimenticate le foreste e le colline color smeraldo che dipingono lo skyline di Rio de Janeiro. Il Brasile che vi sto per raccontare è arido, ha le sembianze della luna, e in alcuni tratti sembra un luogo-archetipo da Far West sudamericano. Una terra da evitare? No, tutt’altro: una meraviglia di deserti, lagune e lunghi tratti di mare blu intenso, da scoprire con un (facile) viaggio on the road che in poco tempo ti proietta dalla spiaggia di Jericoacoara, che il Washington Post considera fra le dieci più belle del pianeta, al Delta del Parnaíba, alla Baia di Feijao Bravo, fino alla città di São Luís. È l’altro Brasile. Quello di nord-est. Un territorio magico che lo scrittore João Guimarães Rosa descriveva come “l’ampiezza del mondo” e che se ne sta lassù, incurante del tempo che passa, 3000 chilometri a nord di Rio de Janeiro, lungo quella che è stata definita la “Rotta delle emozioni”.

Comincia tutto a Jericoacoara, la spiaggia più bella del Paese, nello stato del Ceará (che per la cronaca fu il primo della Confederazione ad abolire la schiavitù, alla fine dell’Ottocento). Un amore a prima vista, una seduzione ininterrotta e impalpabile di dune sabbiose e palme da cocco che si specchiano per chilometri in un mare verde bottiglia. Jericoacoara, Jerí per gli abitanti, è il sogno tropicale elevato all’ennesima potenza, con la luce magica che al tramonto incendia l’orizzonte d’oro e d’arancio, le tartarughe che depongono le uova sulla sabbia, i villaggi di pescatori, le esibizioni di surfisti e kitesurfer che qui trovano condizioni ottimali grazie al vento teso che soffia liberamente dall’Africa senza trovare ostacoli. Tutto protetto e tutelato, al riparo dall’edilizia selvaggia e dalle speculazioni immobiliari, visto che l’intera zona è stata dichiarata Parco nazionale.

Seguendo la costa, passate altre spiagge idilliache, altre dune, sfiorati fiumi, lagune e piccoli villaggi, arrivo a Parnaíba, nello Stato del Piauí. E sono subito rapito da quel delta che tratteggia un paesaggio di nastri liquidi e piscine incantate attorno alla cittadina dalla memoria coloniale, dove il profumo esotico del fiume, della terra e del mare si ritrova anche a tavola, nei piatti di pesce arrosto e frutti tropicali. Poi entro nello Stato del Maranhão e scopro un “mare di dune” (quelle del Parque Nacional dos Lençóis Maranhenses) di quarzo finissimo che si mescola con l’acqua e la vegetazione, regalando scorci poetici di natura; “un mare di lenzuola” circondato dal verde smeraldo della foresta, fra le acque limpide dove nuotano piccole tartarughe verdi, i fiumi che sembrano nastri d’argento sotto un cielo immobile e senza nuvole, gli specchi d’acqua dolce, le lagune più simili a una fiaba che alla realtà. Invece è tutto vero, solo… diverso dal solito: primordiale e speciale, dato che fino a pochi decenni fa gli unici a conoscere l’incanto di questi luoghi erano gli Indios che pescavano nei laghi di acqua piovana, senza sapere (o forse sì) di trovarsi nel paradiso sulla terra.

Poi l’incanto di madre natura finisce, e cominciano altre emozioni: a São Luís, capitale del Maranhão, l’unica città brasiliana fondata dai francesi, la mia guida mi spiega che sono arrivato nel centro della cultura del mondo. Se per mondo intende il Brasile non posso certo dargli torno, perché questa città dove si parla il miglior portoghese della nazione, nei secoli passati era così ricca e colta da essere soprannominata  “l’Atene brasiliana”. In realtà sono molti i soprannomi di São Luís, da “capitale degli azulejos” (per via delle ceramiche colorate che rivestono le facciate delle case) a “città del reggae” (che qui è un vero mito), a testimonianza della straordinarietà di un luogo dove il sangue europeo si mescola al Dna degli indios, come dimostrano molti occhi verdi nei visi dalla carnagione dorata. Il suo centro storico, poi, è un luogo da Grande Bellezza: con più di 4000 edifici monumentali eretti nell’arco di quattro secoli, è stato dichiarato dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’Umanità.